domenica 6 marzo 2016

SARCOFAGHI MIRACOLOSI

La storia di due Santi e dei loro sarcofaghi considerati miracolosi. Uno a Senigallia l’altro nel territorio di Mondolfo.

Il Sarcofago di San Gudenzio


da:“il sarcofago di San Gaudenzio”


Il sarcofago di San Gaudenzio conservato nella sacrestia del Duomo di Senigallia è l’unica testimonianza artistica alto-medievale della città. San Gaudenzio è oggi il patrono della città di Ostra ed è invocato contro la peste. Il Santo nacque nel 280 d.C. ad Efeso da genitori cristiani che furono perseguitati e poi uccisi dai Manichei. Non essendo stato ancora battezzato e desideroso di ricevere questo sacramento, si recò a Roma mentre impazzava la persecuzione di Diocleziano.
Riuscì comunque nell’intento facendosi battezzare dal sacerdote, poi Santo, Giustino.
A  Roma convertì la Matrona Eusitica e conobbe Papa San Marcello che lo avviò al sacerdozio. Divenne sacerdote nel 314, e vescovo nel 341. Operò a Rimini per convertire i pagani, ma in questa città molto forte era la presenza dell’eresia ariana, tanto che questi decisero di eliminare la scomoda figura di Gaudenzio.
Lo uccisero di notte mentre pregava, a colpi di pietre e bastoni, poi gettarono il cadavere in fondo ad un lago.
Gaudenzio operò molti miracoli mentre era in vita anche nei dintorni di Senigallia mentre era in viaggio da Roma a Rimini: presso il fiume Esino guarì un paralitico, trasformò l’acqua putrida di una pozza lungo il fiume Misa in ottimo vino per ristorare i suoi compagni di viaggio, convertì un giovane di origine Dalmata di nome Marino che poi si ritirò a vita eremitica sul Monte Titano da cui nacque la Repubblica di San Marino.
Dopo la sua morte per 70 anni il suo corpo non fu mai trovato, finchè una giovane cieca di nome Abortina, grazie ad un sogno profetico, ritrovò il luogo con le spoglie del Santo e riacquistò la vista. Fu costruito un sepolcro in quel luogo per contenerne i poveri resti, ma fu distrutto dai numerosi eventi bellici.
Alcuni senigalliesi decisero di portare le reliquie del santo da Rimini a Senigallia, per ricevere la grazia da una pestilenza che opprimeva la zona nel 590 d.C., solo il cranio fu lasciato nella città romagnola.
Si attribuirono talmente tanti miracoli a San Gaudenzio che la regina Teodolinda venne da Verona ad adorarne le reliquie e fondò su una collinetta a 3 km da Senigallia una chiesa a tre navate ed un convento per i monaci benedettini, mentre il vescovo Sigismondo fece riporre le spoglie del santo in un sarcofago di tipo ravennate.
Nel 1483 la chiesa, al tempo custodita dagli abati di Santa Maria di Sitria, fu abbandonata e lasciata cadere in rovina.
Il capitano Bergamini di Ostra nel 1520 salvò le reliquie abbandonate tra i ruderi, e per estrarle ruppe una parte del coperchio del sarcofago.
Oggi le sue spoglie si trovano custodite nella chiesa di San Francesco nel centro storico di Ostra.
Nel 1616, il sarcofago ormai vuoto, fu trasportato nella chiesetta di San Sebastiano di Senigallia perché, si diceva, operava esso stesso numerosi miracoli.
Nel 1712 il sarcofago fu collocato nella quarta Cattedrale[1] di Senigallia nella cappella della Concezione. Poi nel 1790 fu trasportato nel Duomo attuale e nel 1923 nell’Aula Capitolare infine fu sistemato nella sacrestia dove si trova attualmente.
Nel luogo dove sorgeva il monastero e la chiesa di San Gaudenzio sulla collina detta “monte della gessara” sorge villa Fedrighini costruita alla fine dell’800 dove si vedono ancora inglobate le colonne e parti dell’antico fabbricato. La via antistante è denominata “strada di San Gaudenzio”.

Da “il sarcofago di San Gaudenzio” ricerche a cura della classe II A della scuola media Fagnani di Senigallia a.s. 1992-1993.


San Gervasio e il suo sarcofago


Foto di A. Pigliapoco

Da Senigallia proseguendo a Nord lungo la statale si giunge a Marotta, deviando sulla Strada Pergolese tra le località Cento Croci e Ponte Rio sorge una chiesa eretta e costruita sulle rovine di un tempio pagano. La chiesa risale al V - VI sec d.C., è a pianta basilicale a tre navate. Nella cripta conserva uno splendido sarcofago tipo ravennate datato primo quarto del IV sec d.C. Divenne un monastero tra il VIII e IX sec. nel territorio detto Bulgaria, nome dovuto all’insediamento dei protobulgari, popolazione di  razza mongola scesi in Italia con i longobardi nell’alto medioevo.
Nel XII sec. La chiesa di San Gaudenzio  unisce le sue sorti a quelle della già citata Abbazia di San Gaudenzio di Senigallia e  insieme passano sotto la giurisdizione dell’ Abbazia di Sitria. Nel 1345 vi sarà un solo monaco. Una leggera ripresa si ebbe con alcuni frati eremiti  nel 1500. Fu poi abbandonata completamente e trasformata in magazzino agricolo.
L’edificio monastico che era unito alla chiesa sulla fiancata destra, ma oggi è completamente scomparso.
Numerosi sono i reperti di recupero usati per la costruzione della chiesa, come le colonne poste all’ingresso che fanno pensare alla presenza di un edificio precedente.
Al centro della cripta perfettamente conservata  vi è una splendida colonna con un’iscrizione in lettere greche posta capovolta, sia per aumentarne la capacità di portata di peso, sia per neutralizzare, secondo i dettami del tempo, gli influssi negativi dovuti alla precedente funzione di pilastro di un edificio pagano.
San Gervasio, detto affettuosamente San Servag, era un eremita che amava aiutare i contadini nelle loro faccende quotidiane, anche quelle più umili.
In un periodo di forte siccità e conseguente mancanza di acqua per gli animali e per la campagna, San Gervasio cercò una soluzione al problema. Prese una ruscella, attrezzo per pulire l’aratro dal fango e terra, e si mise a scavare una buca. Bastò solo qualche centimetro per far scaturire una sorgente di acqua freschissima e abbondante tanto da ridare vita a tutta la vallata e far rifluire il fiume Cesano.
Oggi a circa un chilometro e mezzo dalla chiesa in mezzo alla campagna esiste ancora la fonte d’acqua fatta scaturire dal Santo ed ha il potere di guarire dalla scabbia, una malattia della pelle che colpisce sia uomini che animali.
San Gervasio fu molto venerato tanto da essere stato fino al 1643 patrono di Mondolfo, ma poi fu proclamata al suo posto Santa Giustina martire in Nicomedia che si ritiene sorella del Santo.
Una leggenda vuole che il corpo del Santo dopo pochi anni dalla morte fosse tolto dal suo sacello e tumulato in un luogo sicuro sempre nel perimetro della chiesa.
A seguito di questa storia, all’inizio del XX sec il proprietario del terreno, e quindi della chiesa, decise di vedere cosa contenesse il sarcofago, se  vi era il corpo del santo o se era vuoto. Commissionò ad un gruppo di operai di sollevare il pesante coperchio. Durante il lavoro il coperchio si ruppe, tuttora si può osservare la spaccatura, e all’improvviso gli operai cominciarono ad urlare dicendo di non vedere più nulla, che una fitta nebbia tutto intorno toglieva la possibilità di vedere. La gente accorsa richiamata dalle grida però non vedevano la nebbia, anzi tutto l’ambiente era perfettamente limpido come sempre.
Dopo questo episodio nessun altro osò aprire il sarcofago.
Negli anni '90  però alcuni ladri si introdussero furtivamente nella chiesa in cerca di tesori e oggetti da rubare.
Dopo aver scardinato il portone d’ingresso si introdussero all’interno.
Il mattino seguente alcuni vicini trovarono la porta aperta ed entrati videro che il coperchio del sarcofago aveva una leggera spaccatura e a terra giacevano gli attrezzi da scasso, come se qualcuno li avesse abbandonati per darsela a gambe velocemente.
I numerosi reperti romani nella zona di San Gervasio fanno pensare all’esistenza di un vicus, un villaggio romano di tutto rispetto. Qui passava una strada di grande comunicazione che da Marotta risaliva fino a Suasa per passare a Sassoferrato, l’antica Sentinum, e da qui si collegava alla Flaminia. Da San Gervasio un'altra strada secondaria chiamata “via gallica” saliva a Mondolfo e poi scendeva a Caminate[2] di Fano, strada che secondo alcuni storici fu percorsa nel 207 a.C, da Asdrubale.
Il vicus presso la chiesa forse era l’antica stazione di cambio di cavalli con annessi servizi e abitazioni che secondo gli “Itinerari  romani”, antica carta geografica del tempo, veniva indicata con il nome di “ad Pirum Philumeni” e cioè “Al Pero di Filomeno.”
Da “San Gervasio in Bulgaria” Archeoclub sede di Mondolfo


[1]  Le Cattedrali di Senigallia: La prima probabilmente, la chiesa di San Gudenzio già cimitero sub-urbano. La seconda tra Piazza dell’Oca e Piazza Saffi eretta intorno al 567 dalle pie donne Marzia e Giustina mogli dei capitani greci Aristeo e Diogene e dedicata alla Vergine e San Paolino, fu lesionata da Manfredi nel 1264 e poi abbandonata. La terza costruita nel 1271 si trovava tra Piazza Saffi e il Politeama Rossini.  Fu abbattuta nel 1458 da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Nel 1493 fu costruita la quarta cattedrale dove oggi c’è Piazza Doria e infine l’attuale edificata nel 1790.
[2] A Caminate si trova la prima catacomba cristiana delle Marche, dove si rifugiò nel 303 d.C. San Paterniano mentre stava diffondendo il Vangelo nelle valli del Metauro durante le persecuzioni di Diocleziano.


venerdì 19 febbraio 2016

 ACQUE MIRACOLOSE NEL SENIGALLIESE

I Galli Senoni che si stanziarono alla foce del fiume Misa e sulla costa del mare Adriatico avevano forse intuito, grazie alle loro conoscenze e capacità, che in questo luogo, altre alla bellezza del paesaggio vi era la presenza di acque curative e taumaturgiche capaci di guarire vari tipi di malattie.
Di seguito la storia di due luoghi sacri senigalliesi, il primo tuttora molto amato, l'altro forse poco conosciuto, in cui l’acqua fu la prodigiosa protagonista.

Il Crocifisso della Valle


Secondo una tradizione leggendaria, tramandata oralmente dagli abitanti della zona, il Crocefisso che diede il nome alla chiesetta in contrada La Valle, fu trovato nell’acqua di un fosso lì vicino da una donna, che lo posizionò in maniera da essere visibile ai passanti. Ben presto alcuni malati, in particolare con patologie agli occhi, guarirono dopo essersi lavati gli occhi con l’acqua del ruscello benedetto dalla presenza del crocifisso.   Fu quindi costruito un piccolo oratorio detto “oratorio del Crocifisso miracoloso della Valle” come testimonia l’elenco degli oratori entro i confini della parrocchia del Portone datato 1725.
La chiesetta odierna fu costruita 1815, infatti esiste la mappa catastale pontificia del 1818 che la ritrae più larga che lunga, con il pozzetto dell’acqua taumaturgica (oggi non più potabile) al  centro del pavimento.
Durante la settimana rossa (8-12 giugno 1914) alcuni rivoluzionari anconetani incendiarono l’altare ligneo e fecero altri danni sacrileghi. Nel 1936 il parroco Pierpaoli fece collocare nelle nicchie ai lati dell’immagine miracolosa le statuette di Sant’Anna e Sant’Antonio di Padova. La festa del  Crocefisso della Valle si celebra il 3 maggio ed è molto frequentata dai devoti senigalliesi.
La campanella fu donata dal conte Losak nei primi del novecento, e proviene dalla capella della chiesina di campagna di sant’Bartolomeo al Cavallo successivamente  denominata della Madonna per volere di Alessandriana Carlotta Bleschamp moglie di Luciano Bonaparte fratello di Napoleone che  morì di colera a 75 anni a Senigallia dove possedeva un palazzo in località Marina di cura di Scapezzano, odierna Villa Torlonia, e un casino estivo di caccia nella località Cavallo.
Davanti alla chiesetta esiste tutt’ora una fonte con lavatoio da cui, dopo i restauri e lavori di pulizia, scaturisce un getto d’acqua  non più potabile come un tempo.

La madonna del Condotto

Nel 1596 alcuni operai impegnati nella costruzione delle condutture dell’acquedotto che avrebbe portato l’acqua potabile dal colle di San Gaudenzio alla fontana grande pubblica all’interno delle mura della città, lungo l’attuale via Capanna, dove oggi c’è la casa di cura Villa Silvia, trovarono nel fango un’immagine della Madonna con il Bambino in braccio a basso rilievo in terra cotta, che il popolo senigalliese chiamò subito “la Madonna del condotto”. Questa immagine fu murata sul fianco dello sfiatatoio dell’acquedotto vicino al luogo del ritrovamento.  Il pilastro in mattoni a base quadrata e vertice a piramide è ancora visibile vicino alla strada entro il recinto di Villa Silvia.
Nei decenni successivi, aumentando le testimonianze di grazie ricevute e le offerte dei fedeli  compreso un  lascito testamentario del cavalier Marcantonio Baviera del 28 ottobre 1630, la comuntià senigalliese fece costruire attorno alla torretta un piccola chiesa.
Col tempo questa si rilevò insufficiente a contenere l’afflusso di devoti, perciò si stimò conveniente edificare una chiesa più grande sul terreno offerto dai nobili Marchetti-Angelini. Il 6 maggio 1707 fu celebrata la cerimonia di tralazione dell’immagine miracolosa dalla chiesetta al nuovo tempio.
Con bolla datata 13 gennaio 1714 fu concesso ad un certo Lorenzo Marchi il permesso di costruire una casa accanto alla nuova chiesa per condurvi vita eremitica. Il Papa Clemente XI con diploma del 9 febbraio 1719, trascritto in una pergamena finemente decorato e appesa nella chiesa del condotto poi conservata nella chiesa del Portone, aggregò la chiesa per singolare privilegio all’Arciconfraternita del SS.mo Salvatore nella Cappella dei Papi (Santa Sanctorum) presso la romana Scala Santa  in Laterano, rendendovi acquistabile la stessa indulgenza plenaria in ogni giorno dell’anno.
La chiesa benedetta ma non consacrata era composta da una navata a pianta ottogonale irregolare (lunga 9 m. e larga 7 m.) e da un presbiterio quadrato largo 4 m. come la facciata e alto quanto l’intero edificio, i due ambienti erano separati da una balaustra marmorea con cancello di legno. Le due finestre laterali facevano risaltare il rilievo della Madonna con il Bambino. Dell’immagine miracolosa, ornata da corone d’argento e da 12 stelle, una raggiera, gioielli e altri doni votivi, restano due raffigurazioni: una stampa devozionale e e una foto.
Oltrepassato l’ingresso della chiesa del condotto a sinistra c’era l’altare dello Sposalizio della Vergine e a destra quello di San Francesco di Paola, entrambi amovibili. Poco più avanti, a sinistra, si aprivano l’ingresso laterale e sul pavimento un pozzetto dal quale si prelevava acqua dai poteri taumaturgici. A destra c’erano due confessionali e la porta della sacrestia. In quest’ultima erano custoditi vari  suppellettili ed un’urna di cristallo a forma piramidale contenente la reliquia del cuore di San Gaudenzio autenticata il 13 aprile 1719 dal  vescovo Paracciani. Le due pareti vicine al prespiterio erano decorate dai quadri in cornici dorate di San Francesco Saverio, a sinistra e San Giuseppe con Maria impreziosito da una corona d’argento, a destra posto sopra la porta della piccola torre campanaria ad una sola campana.
La Chiesa del Condotto fu danneggiata internamente dalla fiumana del 22 settembre 1855, ma in breve fu resa di nuovo usufruibile, mentre la chiesa e l’adiacente abitazione furono definitivamente demolite dopo essere state gravemente lesionate dal terremoto del 30 ottobre 1930.

Da “La Parrocchia del Portone e le sue chiese e le sue confraternite” di Donato Mori, Senigallia 2010.




martedì 16 febbraio 2016

LEGGENDA  DELLE NAVI INABISSATE


Fotografia di A. Pigliapoco


Nell'estate del 551 d.C. i Goti volevano conquistare Ancona che all’epoca era un possedimento bizantino. Questi ultimi, vedendosi alle strette, mandarono messaggi disperati alla Capitale Bisanzio, che il più velocemente possibile fece salpare da Ravenna e Salona, cinquanta navi da guerra armate di tutto punto e comandate da due valorosi marinai: Giovanni e Valeriano.  I Goti, appena avvistarono le navi nemiche, abbandonarono in tutta fretta l’assedio della città dorica. Di fronte alle spiagge vellutate di Senigallia si ebbe l’epico e alquanto sanguinoso scontro tra le due grandi flotte. I Bizantini ebbero la meglio e le navi dei Goti assalite o bruciate si inabissarono inesorabilmente e soltanto una decina riuscirono a darsi alla fuga. Le navi affondate, secondo la tradizione, furono 40, ma non è dato sapere dove sia il punto esatto del mare  a largo di Senigallia che le vide  scomparire per sempre tra i suoi flutti.

Da Procopio, "La guerra gotica", IV, 23
Da "Oggi & domani" di Paolo Pierpaoli - supplemento del Corriere Adriatico
AVVISTAMENTI  E CAPELLI D’ANGELO SULLE MARCHE


Fotografia di A. Pigliapoco


Dal 19 ottobre fino agli inizi di Dicembre del 1954 a Senigallia ci furono numerosi avvistamenti di piccoli oggetti “simili a piccole lenticchie” che solcavano velocemente il cielo a grande altezza. Alcuni filamenti simili a “lanuggine grigia o biancastra”, scesero per altre mezz’ora sulla cittadina . Il  fenomeno si ripetè anche a Jesi, dopo il passaggio di decine  strani oggetti. Poi altri avvistamenti vi furono a Roma, in varie località toscane, a Gela, nel mantovano, a Mortara e in provincia di Ferrara. Ma l’avvistamento più eclatante fu quello del 21 ottobre 1954 a Firenze perché corpi bianco-lucenti furono visti dagli spettatori della partita Fiorentina - Pistoiese.
Questi filamenti sono anche chiamati “Capelli d’angelo” e si manifestano sulla Terra da secoli. Il primo caso documentato è del 21 settembre 1741, e nel 1832 li vide cadere anche Charles Darwin sulla sua nave, il Beagle.
Si possono toccare ma non si possono tenere in mano a lungo senza che sublimino, passando dallo stato solido a quello gassoso. Difficilmente si possono fotografare. Assomigliano ad una ragnatela  tanto che alcuni pensano che  questa sia la loro origine, ma  non si sono mai avvistati ragni nei dintorni quando si manifesta il fenomeno.
Spesso appaiono dopo avvistamenti di oggetti volanti non identificati.
Alcuni hanno provato a conservare un campione di capelli d’angelo e farlo analizzare. Il risultato dell’analisi ha concluso che la loro composizione è di silicone, magnesio, calcio e boro. Sono dunque tutte sostanze esistenti sulla Terra, ma la sostanza così composta è una vera e propria anomalia, che deve essere tuttora identificata in modo certo e la cui origine (naturale dovuta a fenomeni naturali ancora inspiegabili, o origine artificiale dovuta ad attività extraterrestre o esperimenti  non resi noti) deve essere ancora determinata.
Secondo il centro italiano studi ufologici in Italia ci sono stati circa 95 casi si caduta di capelli d’angelo, soprattutto in Toscana e il fenomeno tende a formarsi soprattutto in autunno. Oltre il 70 % dei casi è avvenuto negli anni ‘50, e solo la metà dei casi è stata riportata la presenza contemporanea di oggetti volanti.

Da Focus N°131 Settembre 2003 pag. 43 “UFO SU FIRENZE” 

100 grandi fenomeni inspiegabili di Stephen J.Spignesi pag.28
STORIE DI ANTICHE MEDAGLIE


Fotografia di A. Pigliapoco

Le medaglie di Sigismondo

Sigismondo Pandolfo Malatesta aveva l’usanza di nascondere un piccolo tesoro costituito da alcune medaglie coniate da Matteo de’ Pasti. Questo tesoretto veniva tumulato nei muri o fondamenta delle nuove costruzioni come rito propiziatorio.
Secondo una cronaca senigalliese del XV sec., nel 1455 fu deposta nelle fondamenta del torrione di San Giovanni, detto anche Isotteo, una”pignatta di medaglie di Madonna Isotta”.
L’anno prima, nel 1454, erano state depositate 20 medaglie nel rivellino di una porta di Senigallia, forse Porta Nova.
Dalla lettera di Matteo De’ Pasti a Sigismondo del 17 dicembre 1454 ed dal promemoria di Sigismondo da Sorano del dicembre 1454 si può dedurre che vi siano stati altri depositi nelle fondamenta della città.
Infatti nel maggio 1879 furono rinvenute nei pressi della Rocca di Senigallia 3 medaglie: una medaglia rappresentante Sigismondo armato e al rovescio Castelsismondo di mm. 80., due medaglie dette piccole Isotta rappresentanti la nobildonna con i capelli velati e al rovescio il libro chiuso, dal diametro di mm. 41.
Le tre medaglie erano piuttosto consumate e furono conservate su un trofeo. Tale trofeo nel 1963 era posto, secondo la guida turistica di N. Lazzarini, nell’ufficio economato del Comune di Senigallia, poi nella Biblioteca pubblica

ISSUU.com/bancavalconca/doc5/Sigismondo/



La Medaglia di Papa Pio IX




Papa Pio IX (originario di Senigallia) volle creare una medaglia di bronzo formata da una croce capovolta per ricordare il martirio di alcuni apostoli come San Pietro, da donare a chi aveva combattuto nella battaglia di Castelfidardo del 1860 contro gli invasori piemontesi.
Stranamente però questa medaglia venne rinvenuta sul petto del grande capo indiano Toro Seduto al momento della riesumazione delle sue spoglie nel 1890.
Esiste anche una antica fotografia del famoso capo indiano che indossa questa medaglia da lui considerata un potente amuleto (una copia della fotografia è conservata nel museo della battaglia di Castelfidardo)
Ma come è potuto succedere?  La medaglia venne assegnata a Myles Walter Keogh che dopo la battaglia di Castelfidardo  attraversò l’Oceano per andare a combattere con altri irlandesi nel VII reggimento del cavalleria del generale Stoneman e perse la vita in una imboscata tesagli dagli indiani di Toro Seduto a Little Big Horn


link con tutta la storia dettagliata e fotografie

http://www.lalampadina.net/magazine/2015/05/abbiamo-ospiti-storia-toro-seduto-il-grande-capo-dei-sioux/